[Intervistatrice Eleonora Lorenzo]: M. Lorenzo, com’è nato il suo interesse per gli strumenti popolari calabresi?
[Pasquale Lorenzo]: È nato tutto da una mia passione infantile. Tutte le mattine, nei nove giorni prima del Natale, qui c’è la tradizionale novena Natalizia, con la funzione del mattino. In quei giorni gli zampognari facevano il giro del paese all’alba e io mi alzavo dal letto così presto solo per ascoltarli. Nel presepio ci sono le statuine degli zampognari quindi è anche per questo che sono così affezionato a quelle figure. E ai loro strumenti, naturalmente. Col tempo, da adulto, ho maturato questa passione e negli ultimi anni ho cercato chi, effettivamente, li costruiva e suonava. Volevo conoscerli, avere informazioni anche tecniche, superiori a quelle che avevo acquisito per esperienza indiretta.
[IEL]: E le ha trovate?
[PL]: Le ho trovate ma c’è voluto del tempo. Per saperne di più sono partito per il Molise, dove le zampogne sono strumenti regionali. Lì la tradizione è fortemente radicata. Nel paese di Scapoli, per esempio, il monumento più importante nella piazza è quello allo zampognaro, non quello ai caduti. È stato lì che ho conosciuto tanti costruttori, molti dei quali oggi non ci sono più, ho visitato le loro botteghe, ho confrontato il loro modo di costruire gli strumenti tradizionali con le informazioni che avevo sulla nostra cultura musicale, quella calabrese. Poi mi sono spostato proprio nelle zone che in Calabria erano famose per la costruzione delle zampogne, per le botteghe dei costruttori, per i centri musicali, in ogni area ci sono strumenti particolari con i loro costruttori di spicco. Nel vibonese abbiamo Michele Tassone, che discende da un’intera famiglia di famosi zampognari e con il quale sono in ottimi rapporti.
[IEL]: Com’è stato l’incontro con questo famoso artigiano?
[PL]: È stato molto gentile con me. Mi ha portato nella sua bottega, caratteristica, bellissima. Era tutta di legno, sembrava uscita fuori da un libro di favole! Camino sempre acceso, un tornio a pedale di almeno cento anni e ragnatele secolari gigantesche sul legno che stava stagionando. Mi ha fatto vedere come lavorava il legno, ma io ero un ignorante in materia. Prendeva ciocchi di legno per me insignificanti, ma ne ricavava fusti per ciaramelle. A casa ho ancora quello strumento. Credo sia stata quella la spinta finale, l’esperienza che mi ha più colpito di più e da cui è cominciato tutto.
[IEL]: E’ stato allora che ha iniziato a “studiare” per diventare uno zampognaro?
[PL]: Sì, ho messo quasi da parte la mia professione principale di clarinettista per dedicarmi allo studio e alla costruzione di questi strumenti. Durante una festa natalizia ho persino avuto l’occasione di indossare gli abiti tradizionali da pastore e suonare la ciaramella come si usava tanti anni fa, quando ero bambino. Solo che adesso ero io uno di quegli zampognari che mi piacevano tanto.
[IEL]: Com’è stato imparare a suonare questi strumenti e a costruirli? Difficile?
[PL]: Sì, relativamente difficile. Conoscendo la musica, possedevo una certa sensibilità musicale, ma ricordo che quando provai a suonarli per la prima volta rimasi senza fiato: non era facile come credevo. Evidentemente tutto quello che avevo imparato al Conservatorio non bastava, mancava qualcosa che mi completasse e che mi permettesse di gestirli.
[IEL]: Quel qualcosa gliel’ha fornito il suo maestro?
[PL]: Sì. Il mio approccio alla musica era diversissimo dal mio, non riusciva a rispondere alle mie domande tecniche perché non aveva mai ricevuto un’educazione musicale.
[IEL]: Non aveva mai studiato la musica?
[PL]: Non per come intendiamo noi “studiare musica”.
[IEL]: Eppure costruisce e suona strumenti musicali. Com’è possibile?
[PL]: I segreti per riuscire a gestirli, suonarli e costruirli, intendo, si tramandano ai figli dai padri e dai nonni. E non esistono manuali o libri sull’argomento, uno zampognaro può essere istruito solo da un altro zampognaro più esperto, senza niente di tecnico, senza nozioni di acustica o altro. Per questo è stato molto difficile capirci, all’inizio. Era come parlare due lingue diverse, non so se mi spiego. Anche l’approccio agli strumenti doveva essere diverso, mi spiegava.
[IEL]: Diverso in che senso?
[PL]: Nel senso che non bastava la mia preparazione tecnica, dovevo mettere da parte quello che avevo imparato in tanti anni di studio e ricominciare daccapo, con i suoi metodi semplici e complessi insieme. Metodi efficacissimi, comunque. Riescono a riconoscere i suoni, a scegliere la tonalità giusta per ogni strumento, ad orecchio, mentre spesso noi musicisti ci serviamo di strumenti elettronici di precisione. Quello che per noi è nozionismo per loro è pura pratica.
[IEL]: Si è sentito come uno straniero in patria, quindi. Dopotutto, la musica era il suo campo.
[PL]: Quasi. La mia preparazione era di un altro tipo, quella era molto semplicistica. Un po’ come quando insegnavo alle scuole medie educazione musicale e dovevo spiegare ai bambini come nasce il suono. Usavo l’esempio del vento che fischia tra le canne e degli uomini che lo sentivano e capivano che potevano imitarlo e comunicare in quel modo. In un ambiente accademico spieghiamo questo fenomeno in tutt’altra maniera, ma è proprio questo principio così semplice, quasi infantile, che sta alla base della costruzione delle ance, le fonti sonore delle pive. È in questi termini che imparano i principi basilari del loro stesso mestiere.
[IEL]: E’ stato difficile per lei imparare i loro metodi?
[PL]: La difficoltà è stata quella di dover imparare nuovi metodi di accordatura o esecuzione, come se partissi dalle basi. Per esempio, un musicista professionista accorda strumenti musicali fra loro praticamente di continuo, ma lo fa con un certo metodo che loro non conoscono e che quindi non adottano. Quindi i manuali e i libri su cui avevo studiato non mi servivano.
[IEL]: Michele Tassone l’ha istruita, quindi, le ha insegnato tutto quello che c’era da sapere.
[PL]:L’esperienza mi ha completato. Tutto quello che ho imparato ha arricchito la mia cultura e la mia conoscenza artistica. Ma non ho ancora finito di imparare e ci sono ancora tante cose che imparo di continuo. E dire che non è per niente facile guadagnarsi la fiducia di uno zampognaro e farsi insegnare il mestiere.
[IEL]: Perché?
[PL]: Perché per certi versi è davvero un ambiente chiuso ed esclusivo, sono persone diffidenti: non trasmettono con facilità le proprie conoscenze ad altri, per una forma di gelosia di mestiere. Considerano l’estraneo come un eventuale antagonista o un rivale, tra di loro si contendono feste popolari o mercati di vendita. In effetti, tendono ad isolarsi. Diciamo anche che io sono riuscito ad avere la loro fiducia perché il mio interesse non era commerciale, vedevo quest’esperienza come un’opportunità di arricchimento culturale e niente di più. Per questo mi hanno lasciato imparare tutto quello che potevo sulle loro tradizioni e oggi ho con loro un ottimo rapporto.
[IEL]: Ha anche partecipato a qualche loro incontro, a qualche festa?
[PL]: Sì, più di una volta. Lo zampognaro tipico è una persona strana, ma di grande allegria e compagnia. Quando ci si incontra, tra artigiani e colleghi, è sempre una festa, ognuno cerca di dimostrare all’altro il suo sapere, ci si abbina facilmente, ci si scambia le nozioni musicali con tarantelle, ballate e marcette, se è periodo estivo, ma soprattutto nenie e carole. Specialmente quando ci si raduna intorno ad una bottiglia di vino. È uno spettacolo indescrivibile. Da qualche anno organizziamo un raduno regionale. In agosto. Ci si riunisce in una località sempre diversa: Serra, Spadola…nella stessa area, però. Vi confluiscono zampognari di ogni età, lo strumento viene tirato a lucido e accordato per l’occasione, c’è musica ovunque, tutti suonano. Ci sono anche moltissimi nuovi gruppi che adottano le zampogne per i concerti e personalità di spicco degli ambienti culturali che partecipano. Danno lustro all’occasione. Per esempio il professor Antonello Ricci dell’Università la Sapienza partecipa tutti gli anni, non manca mai.
[IEL]: So che ci sono molte altre occasioni di ritrovo, durante alcuni periodi dell’anno, anche se di altra natura. Come per la raccolta dei materiali.
[PL]: Gli zampognari sono principalmente pastori, conoscono tutti i segreti della natura e usano solo strumenti artigianali. È naturale, quindi, che al momento di raccogliere i materiali usino tutti gli accorgimenti che derivano dalla cultura contadina. Sanno dove trovare i ceppi migliori, le canne più adatte a diventare ance. Le ance, per esempio, vengono colte nel periodo dell’ultima luna calante di gennaio perché è il momento di massimo riposo degli arbusti. Già alla luna successiva ciò che è stato tagliato ricresce e la natura riparte da dove la si era lasciata. Si presta molta attenzione all’esposizione a nord e non a sud, per favorire una certa consistenza del materiale. Almeno così spiegano. O in zone umide. Questi artigiani, una volta trovato il posto idoneo per tagliarle, per tradizione vi si recano regolarmente. Tengono per sé i luoghi, per una forma di gelosia. Come i cercatori di funghi. È impossibile farsi dire da un cercatore di funghi dove trova i migliori. La filettatura degli strumenti è fatta con il sego che non comprano, ma producono per sé. È comunque una tradizione che appartiene ai pastori e si usano solo materiali reperibili, naturali, poveri. Eppure riescono ad arrivare a risultati qualitativi notevoli. Se pensiamo alle loro capacità tecniche, al costruire e far suonare strumenti in maniera perfetta. È qualcosa di affascinante, specialmente per un musicista professionista. Per questo mantengo i contatti, ogni qual volta li incontro mi immergo nella loro realtà: riescono a parlare di tecnica con un linguaggio non tecnico. È come se non sapessero neppure di essere, per professionalità, ad un livello altissimo.
[IEL]: Qual è il rapporto che si è instaurato tra la sua figura professionale e loro?
[PL]: È un rapporto di stima reciproca, anche dal punto di vista professionale. Sono da tutti accolto con entusiasmo e piacere. Li faccio sentire importanti, do loro importanza, a loro e alla loro arte, la porto avanti. Per cui quando ci si incontra, ci si mette subito a parlare, ma soprattutto a suonare. Mi sento coinvolto anch’io negli scambi di vedute su strumenti e tecniche, durante i raduni. Mi dà tanto, mi fa crescere tanto come artista.
[IEL]: E per questi zampognari? Quali benefici pensa abbia portato loro questo scambio culturale?
[PL]: Penso che i benefici ci siano stati per entrambi. Certo, in questo modo la tradizione si mantiene e si espande sul territorio. Ma bisogna anche dire che ho cercato, inevitabilmente, di portare qualche miglioria agli strumenti. Cioè, è inevitabile, per esempio dal punto di vista dell’intonazione. Il loto concetto di tonalità è molto approssimativo, io ho cercato di apportare la precisione. Una zampogna romana è tagliata più o meno a sol maggiore, la tonalità non è mai centrata perfettamente. Io faccio in modo che la zampogna in sol, con una lavorazione più precisa delle ance, sia esattamente in sol maggiore. In questo modo l’accompagnamento non è forzatamente con la ciaramella, ma può suonare, magari, in orchestra, dove l’intonazione deve essere accurata. Per il resto mi sono imposto di mantenere la tradizione così com’è, esattamente come veniva fatta cento anni fa. Uso gli stessi strumenti artigianali. Nei limiti del possibile, ovviamente. Questo mantenere la tradizione, mi rendo conto, affascina chi viene a chiedere le informazione. I giovani che si avvicinano o i potenziali acquirenti rimangono affascinati da questo mantenimento della cultura tradizionale antica, considerando che siamo in un mondo moderno per cui metti un dischetto e ascolti un’orchestra. È uno strumento polifonico, che suona senza l’ausilio di strumenti elettronici, che attira molto appassionati. Senza una passione fortissima, la tradizione non si mantiene: occorrono moltissime cure, manutenzioni continue, esercizio…o si dimentica e si riducono a soprammobili.
[IEL]: Oggi, dopo essere entrato in questo mondo di antiche tradizioni, cosa si ripropone?
[PL]: Mi occupo della divulgazione di tutto ciò che ho imparato in questi anni, di tutto ciò che potrebbe fare in modo che la tradizione non si perda. Sono diventato anch’io un punto di riferimento, e per me è motivo di orgoglio, per molti appassionati che vengono a trovarmi nella mia casa-laboratorio per saperne di più. Mostro con una certa soddisfazione la mia collezione di strumenti e cerco di trasmettere questa passione, specialmente quando ad avvicinarsi sono giovani. Mi ricordano me da ragazzo, quando ero avido di saperne di più. Amo questi strumenti e comunque è un recupero di tradizioni antiche, la continuità e la trasmissione del sapere che altrimenti si perderebbe. È una forma di conservazione. Gli enti locali, le istituzioni, non aiutano. Danno per scontata la tradizione, la bellezza del folklore, non si danno pena di salvaguardare il mantenimento. Non ci sono scuole, non ci sono manuali, in me c’è sempre il desiderio di portare avanti.
[IEL]: Ha qualche progetto futuro per continuare la promozione di questa cultura tradizionale?
[PL]: Il progetto ideale sarebbe istituire, come già in alcuni centri italiani, scuole di costruzione e musica, aperte soprattutto ai giovani. Portare avanti il futuro mantenendo la tradizione. Per quanto già ne esistono, in Molise e Sicilia. È qui da noi che sto insistendo con gli enti locali perché collaborino al recupero e alla divulgazione di queste attività culturali. Fanno parte del nostro patrimonio, se un giorno si venissero a perdere come potremmo recuperarle? Sarebbe una grave perdita. Senza incentivi, gli zampognari, gli ultimi che restano, rischiano di portarsi nella tomba i loro segreti.